intervento di Don Franco Tassone della casa del giovane di Pavia
Scuola media di San Genesio (pv) 15 Maggio 2009
Chiedo a don Franco Tassone (ex responsabile della casa del giovane di Pavia) di arrivare un quarto d’ora prima dell'inizio della lezione, per spiegargli che probabilmente un ragazzo si comporterà in modo provocatorio a causa del modo in cui mi sono rivolta a lui durante una lezione. Sono sicura che oggi imparerò tanto per poter poi fare la stessa attività con le mie future classi.
Entriamo in classe insieme senza però presentare don Franco agli alunni. Lui si siede su una sedia vicino alla cattedra senza aprire bocca.
Chiedo ai ragazzi di aprire il quaderno e scrivere le frasi che scriverò alla lavagna. Dico loro che di solito quando spiego le ipotetiche porto la foto di una persona, oggi invece ho voluto portare una persona in carne ed ossa.
Faccio ripetere la regola per formare la frase ipotetica che avevo già spiegato durante la lezione precedente.
If + simple past + virgola + would + forma base del verbo
Una ragazza dice che è un argomento di grammatica difficile che anch’io avevo detto che ritenevo non necessario da affrontare.
Le rispondo che è vero che l’argomento è difficile, ma ho anche detto che l’avrei affrontato comunque , anche se poi all’esame scritto non avrei richiesto l’uso di tale struttura nelle risposte della comprensione.
Comincio a fare domande in inglese:
1. secondo voi la persona che ho portato in classe oggi, è mio marito?”
in your opinion, is this person my husband?
Un ragazzo risponde “non ha la fede”
Io aiuto i ragazzi a formare frasi ipotetiche
Se fosse suo marito avrebbe la fede nuziale
If he was your husband he would have the wedding ring
2. è mio fratello?
Is he my brother?
Non ha gli occhi azzurri. Secondo la teoria di Darwin…
Se fosse suo fratello avrebbe gli occhi blu
If he was your brother, he would have blue eyes.
3. Pensate che sia mio padre?
do you think he is my father?
No, se fosse suo padre sarebbe più vecchio
No, if he was your father he would be older.
Nel frattempo sono trascorsi 15 minuti e, pensando a quello che dicevano delle colleghe in consiglio di classe (mi consigliavano di dedicare più tempo all’intervento di don Franco) smetto di fare la mia lezione per dare più spazio al parroco.
Don Franco dice che non è vero che non porta una fede. Lui la fede la porta nel cuore.
Poi comincia a parlare ai ragazzi individualmente, chiamandoli per nome e di ognuno di loro dice una caratteristica del loro carattere.
“A., tu sei un ragazzo molto vivace, ma sei lì in un atteggiamento chiuso. Come mai?”
A. dice “è vero! Ma come fa a capire queste cose?” poi indicando un compagno chiede “mi dice come si chiama quello lì?”
Don Franco dice “non ho la capacità di indovinare queste cose!”
“Ma come fa a capire come siamo fatti?”
Don Franco “io lavoro da tanti anni con i ragazzi e guardando come si muovono riesco a capire come sono fatti dentro. Per esempio: vieni vicino a me!” il don stringe la mano al ragazzo mantenendo un po’ di distanza.
“cosa pensate se mi vedete stringere la mano così a un ragazzo?”
alunno “vi state presentando”
“ e se invece ce la stringiamo così?” incastrando le dita.
“penseremmo male. Come se fosse dell’altra sponda…!”
“ecco, io cercherei di capire dai gesti com’è una persona e non da come è esternamente.
la comunicazione non sta nella bocca di chi parla, ma nelle orecchie di chi ascolta
se prendessi questo banco, lo sollevassi e lo lanciassi in aria, cosa pensereste di me?”
A. ” che è un pazzo”
Don “ se fossi pazzo, come mi comporterei? Facciamo un esempio! Dimmi qualcosa!”
A. “ciao!”
Don Franco con tono arrabbiato “che ce l’hai con me?”
G. “penserei che è un bullo!”
Dopo 5 minuti dal momento in cui il don ha cominciato a parlare, uno dei ragazzi ha pronunciato la parola BULLO.
Don Franco “Pazzo/bullo si chiamano PAROLE VALIGIA perché dentro ci mettiamo di tutto”
Don Franco si avvicina a A. e tenendo un po’ di distanza gli dice con voce gentile “ciao!”
Poi si avvicina in modo arrogante fino quasi a toccargli la fronte con la bocca e con voce rabbiosa gli dice “ciao!”
A. spaventato si ritrae.
Don Franco “ho pronunciato la stessa parola con diverso tono della voce e con una posizione del corpo diversa. Nel primo caso ho mantenuto un po’ di distanza: si chiama distanza di rispetto, nel secondo caso ho mantenuto una distanza molto ravvicinata, si chiama distanza di minaccia e di provocazione. Dobbiamo imparare a leggere il comportamento degli altri. Guardando il comportamento di un ragazzo potremmo capire se è un ragazzo che ha bisogno d’aiuto.
Se scrivessi sulla lavagna questi due segni (il don scrive sulla lavagna un segno più con una linea sotto di esso) cosa vedete in questi due segni?
Alunno1: una croce sottolineata
Alunno 2: una faccia
Alunno 3: un segno più e un meno
Alunno 4: una lapide
Alunno 5: una tag
Alunno 6: un asse cartesiano
Don Franco: quando sono entrato, mentre la vostra professoressa vi parlava, dando uno sguardo alla classe ho dato un valore positivo alla classe. Ho visto in ognuno di voi un aspetto positivo.
Se dico Tu sei ok , come ti senti?
Alunno: “apprezzato!”
Se dico tu non sei ok come ti senti?
Alunno: mi sento escluso!
Una volta ho conosciuto un bambino che arrivava da un paesino, quando lui andava in escandescenza i compagni si allontanavano da lui. A causa di questa reazione dei bambini attorno a lui, il bambino si è rafforzato. Ad un certo punto ha preso un sasso. Il gesto di prendere il sasso spaventava i compagni, per cui si sentiva ancora più forte facendo questo gesto. Spesso i bambini, i ragazzi bulli sono bambini o ragazzi più deboli e soli”
Diversi alunni “come ………… un ragazzo di un’altra classe”
Don “immaginiamo che in questa aula dovesse arrivare un nuovo compagno, chiamiamolo Willy. Qui c’è un banco vuoto che sarà il suo posto. Aiutatemi ad accoglierlo. Come lo accogliereste?
G.: mi alzerei, gli stringerei la mano e diventerei suo amico.
Alunno 2: vedo prima come reagisce con gli altri.
Ecco, è molto importante saper accogliere una persona, per farla sentire bene con il resto del gruppo.
Una volta ho conosciuto un bambino che aveva perso la mamma. Alla fine della scuola tutti i bambini hanno portato un regalo per la maestra. Erano tutti dei bei pacchettini con dei bei fiocchi, ma ce n’era uno con la carta stropicciata e senza fiocco. Tutti i bambini ridevano di questo pacchettino ed erano orgogliosi del loro pacchettino perfetto. La maestra aprì con un sorriso il pacchettino disprezzato da tutti, ne tirò fuori un profumo e ……….. ringraziò il bambino di cuore poiché si vedeva bene che tutti gli altri pacchettini erano stati impacchettati dalle mamme, ma quello era stato impacchettato sicuramente dal bambino. Il profumo che il bambino ha regalato alla maestra era il profumo della sua mamma e lui desiderava che la sua maestra portasse lo stesso profumo, in modo che quando gli era vicino lui potesse sentire una presenza simile a quella della mamma scomparsa.
Ebbene, se quella maestra non avesse accettato quel regalo o l’avesse disprezzato, il bambino si sarebbe sentito escluso, rifiutato.
Quando io faccio la mia Omelia parto sempre da un’immagine, poi cerco di trasmettere un’emozione, poiché solo parlando, trasmettendo emozioni, si riesce a farsi ascoltare e quello che viene detto resta nella persona. Magari non viene fuori subito, ma quando sono implicate le emozioni, prima o poi, anche a distanza di anni le cose ascoltate vengono fuori.
Don Franco disegna un triangolo sulla lavagna e dice “questa è la piramide della comunicazione. Secondo voi, quando una persona parla, quelli che ascoltano che percentuale ascoltano?”
Alunno 1: 50
Alunno 2: 80
Alunno 3: 40
Don: solo il 3-4%
Alunno: come mai don?
Don Franco: non possiamo ricordare tutto quello che ascoltiamo. Noi ascoltiamo con gli occhi, col pensiero mentale e con l’emozione. Quando si parla è importante parlare al cuore delle persone.
La miglior forza per vincere il bullismo è con l’aiuto dei ragazzi che l’hanno subito o l’hanno provocato “PEER EDUCATION”
Suona la campanella e i ragazzi escono per la ricreazione.
L’insegnate di sostegno dice “sono stati bravi, ma non mi è piaciuto N. che aveva la testa appoggiata sul banco e non ascoltava”. L’insegnante di inglese e il don dicono che invece secondo loro lui è stato attento. Il don dice “non ha perso una parola di quello che ho detto” l’insegnate di inglese puntando la lavagna dove c’era ancora il disegno del segno più e meno dice: ecco, anche in questo caso vale quello che abbiamo detto a proposito del segno tracciato sulla lavagna.
Io vedo il ragazzo in un modo, tu lo vedi nell’altro modo. È tutta un’impressione personale.
A me dicono sempre che sono molto larga di voti, il fatto è che io vedo sempre un grande più, un grande segno positivo nei miei ragazzi e quest’anno ho l’impressione di essere riuscita a trasmettere tanto della mia materia scolastica ai ragazzi, ma non posso dimostrarlo perché io non sono nelle loro teste. Ho voluto lavorare molto sulla comprensione e produzione della lingua. Ho parlato tantissimo in classe e ho ascoltato tanto i miei alunni che tentavano di parlare in inglese, e sono sempre uscita contenta dalle aule. Ma i risultati non si possono vedere in una frase da tradurre per una verifica.
Il giorno prima dell’intervento di Don Franco nella mia classe, gli ho mandato una mail in cui dicevo che gli avrei lasciato 15 minuti in più per il suo intervento, anche se sono convinta che una persona preparata come lui, un bravo oratore riuscirebbe anche in minor tempo.
Come avevo previsto, Don Franco, che è un ottimo oratore, oltre che una persona eccezionale e di pochissime parole, è riuscito a fare il suo intervento in 30 minuti esatti, raccontando, nei 15 minuti seguenti, degli aneddoti per far capire meglio ai ragazzi come è importante far sentire “ accettato” un coetaneo.
GRAZIE DON FRANCO dell'insegnamento che hai dato a tutti noi con il tuo intervento!!!!!