Io insegnante a rischio "burn-out"
Sono un'insegnante di una scuola media di primo grado. Oggi c'è stato il Collegio Docenti (incontro di tutti gli insegnanti della scuola). come al solito si è cominciato a parlare delle difficoltà di insegnamento nel gruppo classe. come in tutte le scuole, anche nella scuola dove sono capitata quest'anno (sono una precaria) si stanno provando diverse strategie, per lo più minacce di sospensioni e bocciature, per gestire al meglio i nostri ragazzi.
Si è discusso per tanto tempo dei criteri per la formazione delle classi: dividere o no i gemelli, i gruppi provenienti dalla stessa scuola elementare, i ragazzi diversamente abili, i ragazzi provenienti dalla stessa nazionalità ed altri casi.
Il problema maggiore è come formare i gruppi per evitare che ci sia impedito di fare lezione piuttosto che quali misure prendere per fare in modo che i ragazzi imparino a stare insieme "bene" e a lavorare aiutandosi l'un l'altro. in questi tempi si parla tanto del disagio sociale di molti ragazzi e dell'importanza che la scuola ha per aiutare i ragazzi a socializzare, a creare in loro maggiore autostima, rispetto e accettazione dell'altro.
Ho seguito tanti corsi di aggiornamento e vedo che i workshop più frequentati sono quelli che suggeriscono come gestire le dinamiche problematiche in classe: bullismo, scarsa socializzazione e motivazione. seguo anche corsi per insegnanti di sostegno e ho letto diversi libri di pedagogia (Bandura, T. Gordon ed altri). condivido pienamente i principi di autorevolezza e di ascolto "attivo" dei ragazzi per aiutarli nella soluzione dei problemi, al punto che nella scuola dove ero qualche anno fa sono stata spesso criticata e attaccata da alcune colleghe che conoscono solo il metodo autoritario.
Quando lavoravo in quella scuola, sebbene non mi trovassi bene con alcune colleghe, riuscivo sempre ad entrare in classe con la carica e l'entusiasmo giusto per trasmettere qualcosa ai miei ragazzi. Premetto che amo molto il mio lavoro (insegno lingue straniere) e come tutti gli insegnanti, desidero passare il mio sapere, anzi la mia passione per le lingue ai miei ragazzi, ma in tante occasioni, riconoscendo nello sguardo di alcuni ragazzi; rabbia; solitudine e tristezza, preferivo sacrificare l'ora di insegnamento all'ascolto dei ragazzi e alla gestione della rabbia e dell'ansia. Alcuni genitori, dopo due mesi di lavoro di questo tipo, sono venuti a scuola a ringraziarmi. nei primi tre mesi di scuola ero soddisfatta sia del lavoro sulla materia che sulle persone e sullo star bene con gli altri. Mi arrivavano lettere dai ragazzi in cui mi dicevano che ero il loro punto di riferimento. Il momento della ricreazione era il più carico di lavoro per me, arrivavano anche da altre classi a chiedermi consigli... io mi caricavo a tal punto dei loro problemi che spesso ci pensavo anche quando ero a casa con la mia famiglia. Fino a Natale è andato tutto bene, ma al ritorno dalle vacanze è stato un disastro! non riuscivo più a entrare in classe! ero stanca al punto che mi sentivo di soffocare, però non capivo quale fosse il motivo.
Io credo di essere andata molto vicino all'esaurimento... la nostra categoria è quella più soggetta a tale forma di malattia, si chiama "burning out".
Per dare un’idea dei problemi che dovevo affrontare citerò due eventi: nel mese di dicembre arrivò nella nostra scuola un ragazzino di seconda media, piccolino, magrolino con dei modi di fare un po’ da femminuccia. Nella scuola di provenienza, spesso era vittima di bullismo: i compagni lo appendevano a un albero o lo chiudevano in bagno e i genitori hanno dovuto trasferirlo nella nostra scuola, anche se era scomoda da raggiungere. Ben presto si verificarono dei problemi anche con i nuovi compagni. Spesso, quando c’era la ricreazione, mentre il ragazzo attraversava il corridoio per andare in bagno, alcuni ragazzi gli gridavano dietro “frocio, frocetto” e poi lo chiamavano col suo nome al femminile. Quando li sentii capii che era necessario intervenire in un modo appropriato, allora dissi a una collega che sarei andata dal dirigente scolastico, la quale era anche una favolosa psicologa, a far presente la cosa e a chiedere consiglio su come intervenire.
Per tutta risposta la collega mi disse molto scocciata “ma cosa corri dalla preside? Non vedi come si veste e come cammina quello lì? Se lo prendono in giro se lo merita!” Pur non condividendo, non le ho risposto niente e quel che è peggio non ho fatto niente.
Spesso arrivavo in una classe il sabato all’ultima ora, dopo l’ora di educazione fisica e dopo che negli spogliatoi era successo di tutto e l’insegnante per quietarli s'era limitata a mettere una nota sul diario a tutti i maschi minacciando che non avrebbero più fatto ginnastica nella sua ora.
Non posso spiegare che rabbia vedevo negli occhi di quei ragazzi, specialmente in quelli del ragazzo che aveva subito dei dispetti. Io ritenevo che se avessi spiegato la lezione di grammatica inglese, pochi di loro sarebbero riusciti a seguirmi, allora preferivo fare tre minuti di rilassamento e spesso, purtroppo per me, facevo un “circle time” (tempo del cerchio) durante il quale chiedevo ai ragazzi di riflettere su quello che era accaduto per capire bene cosa aveva causato il problema. In seguito non davo la soluzione ma li guidavo nel ricercarla.
Si dice che i ragazzi di oggi “non sono come quelli di una volta” in senso negativo. Io sono rimasta spesso colpita positivamente da quello che dicevano i miei ragazzi durante i circle time e di solito le soluzioni che trovavano erano migliori di quelle che avrei proposto io.
Il lavoro che facevo richiedeva molte energie, ma io mi ricaricavo quando i miei alunni mi ringraziavano. Un giorno un ragazzo mi disse: ”lo scorso anno per me è stato atroce. Per tutti i nove mesi i miei compagni mi facevano dispetti. Quest’anno va molto meglio!” il lavoro che stavo portando avanti oltre ad essere faticoso mi sottraeva molto tempo alla materia, ma sia il d.s. sia il vice d.s. mi incoraggiavano a farlo.
Purtroppo, i problemi erano tanti e sentivo che molti ragazzi avevano bisogno di essere ascoltati, forse qualcuno se ne approfittava per non far lezione, ma per altri era vitale, anche per questo ho lasciato molto da parte la materia. Ai consigli di classe più di un genitore, tra i quali il padre del ragazzo che l’anno precedente subiva atti di bullismo, mi chiedeva “… ma col programma dov’è arrivata lei?” molti genitori mi hanno attaccata perché, in seguito l’ho saputo dalla stessa insegnante, quest’ultima aveva suggerito ai ragazzi di mandare i loro genitori a protestare per quello che facevo in classe.
Quello che voglio denunciare con questa mia lettera non è tanto il fatto che ci sono persone nella scuola che non hanno un pizzico di empatia, ma che non si da a noi insegnanti gli strumenti per aiutare i ragazzi a collaborare e saper stare bene insieme.
Tutto quello che so io l’ho imparato a spese mie sia di tempo che di soldi. Spesso ho sentito dire dai professori “io devo insegnare la mia materia. Per i miei alunni non sono né una mamma, né un’amica tanto meno uno psicologo. Preferisco essere odiata piuttosto che essere trattata male da loro!” in effetti i ragazzi se hanno davanti un insegnante sensibile ai loro problemi e non preparata nel portare avanti questo lavoro, potrebbero rendere la vita molto difficile agli insegnanti. A parte la sindrome di “burning out” rischiano di avere la macchina danneggiata e altro.
La scuola riceve pochissimi soldi dallo Stato e io credo che se si destinassero i soldi delle borse di studio agli alunni col miglior rendimento scolastico (credo che spesso si vada anche a simpatia… e poi perché non destinare gli stessi soldi a un alunno che non ha la fortuna di quello che ha una situazione familiare tranquilla per poter raggiungere tutti gli obiettivi possibili? Come può un ragazzo concentrarsi sullo studio se vede i genitori litigare tutti i giorni e la madre fare le valige e scappare via col fratellino più piccolo?”) a degli istruttori che insegnino a noi professori come gestire le dinamiche problematiche nelle nostre classi, i vantaggi sarebbero sia per noi che siamo da questa parte della cattedra, sia per quelli dall’altra parte, ma soprattutto per la società!!!
Perdonatemi tutti gli errori, la mia collega di lettere, una molto pignola, inorridirebbe nel leggerla, ma è molto tardi e io voglio mandare un messaggio e non concorrere a una gara letteraria.
Lettera firmata UNA SANNITA!