Disagio di una ragazza extracomunitaria

Un mese di supplenza in una  scuola dell’Oltrepo Pavese  (2 media)

 

Arrivo in classe e noto che una ragazza di colore risponde in modo rabbioso ad ogni domanda dei compagni. L’insegnante di Italiano mi dice “la tengono tutti a distanza per quel suo carattere irascibile”

Arriva il momento del break e mi avvicino alla ragazza, la quale mi esprime subito un suo disagio.

 

  1. “prof., io voglio tornare in Senegal, lì ho tanti amici, qui non ne ho e ci sono dei compagni di classe che quando tocco una loro matita, poi la puliscono con un fazzolettino di carta prima di metterla via, o peggio, la buttano nella spazzatura. La prego però di non dire niente a nessuno di questo, altrimenti me la fanno pagare”

 

Finito il break entriamo in classe. La ragazza di colore appoggia la testa sul suo banco e passa tutta l’ora in questa posizione. L’insegnante non si accorge di niente perché sta interrogando.

Io non voglio parlare per non aggravare la situazione della ragazza, anche perché sono una supplente di un mese, non voglio dare l’impressione di quella che pensa di risolvere i problemi di una classe non sua.

 

Suona la 4^ ora e l’insegnante inizia a spiegare, poi chiede ai ragazzi, “perché A. ha la testa sul banco?” qualcuno risponde “bah! È da stamattina che piange!”. L’insegnante va avanti a spiegare.

 

Quando mancano 5 minuti dalla fine dell’ora chiedo alla collega di poter parlare con i ragazzi e esordisco dicendo:

“dietro il comportamento troppo nervoso e aggressivo di una persona, spesso c’è un disagio, una preoccupazione della stessa. Vorrei che vi metteste  nei panni di una/o ragazza/o della vostra età che lascia il suo Paese, tutti i suoi amici e parenti e va ad abitare in una nuova Nazione dove tutto è diverso a partire dalla lingua. Come vi sentireste se non aveste amici e se vi dicessero che fate schifo?”

  

In classe regna il silenzio. Aspetto qualche secondo e poi concludo dicendo.

“io credo in un Dio e so che in questa classe ci sono persone che non seguono la mia stessa religione, ma di sicuro ne hanno un’altra, ogni religione ha il suo DIO. In questa classe c’è una vostra compagna che sta soffrendo molto per una cosa simile che le sta succedendo. Io non voglio fare nomi. Non ho intenzione di dirvi né chi è la vittima, né chi è il colpevole, ma chiedo al o ai colpevoli, che sicuramente si riconoscono tali, di mettere una mano sulla coscienza e pensare alla gravità di quello che ha fatto!”

 

I ragazzi non parlano.

 

Questo è l’ultimo mio giorno di supplenza in questa scuola e come mia consuetudine, voglio salutare i ragazzi. Ho portato un sacchettino di cioccolatini, quelli a forma di monete e dico loro che ho intenzione di offrirli a tutti loro e dico: “non è un caso se vi offro QUESTI cioccolatini. Ho scelto questo tipo perché io credo che voi siate preziosi, siete il nostro futuro e noi speriamo molto in un mondo fatto di persone corrette, affidabili e responsabili.

Il Signore ci ha donato una cosa molto preziosa che è la nostra VITA. Essa vale più di qualunque cosa perciò vi prego di conservarla molto cara”

 

Una ragazza mi chiede “ma come prof., non viene più da noi? e noi come faremo? Chi ci farà ancora cantare come fa lei subito dopo la ricreazione mentre aspettiamo che entri la prof?”

 

Distribuisco i cioccolatini e tutti iniziano a scartarli e a mangiarli.

 

A. prende il suo cioccolatino, ma non lo mangia, se lo tiene stretto tra le mani, ancora incartato, poi lo avvicina al petto e mi dice “prof., grazie per tutto quello che ha fatto per me!”

Io le dico: “adesso però mangialo altrimenti si scioglie in mano!”

E lei… “no prof. è troppo prezioso per me!”